lunedì 26 febbraio 2007

Prologo

Anni di campagna stampa ostile, il rinnovarsi del Collegio Cardinalizio, l’elezione – attesa da tempo dall’opinione pubblica e dai giornali che la manipolano – di un pontefice cosiddetto “progressista”; non so quale sia la prima causa di questa novità, che molti definiscono rivoluzione.
A mio parere, non è altro che un immenso dono per gli studiosi di tutto il mondo. Perché non aveva più senso, a distanza di secoli, tenere riservata l’immensa mole di manoscritti, relazioni, documenti che erano conservati nei sotterranei della Specola romana; non sono stati aperti gli Archivi Segreti, come alcuni credono.
Questo non significa, d’altro canto, che il fatto non sia importante, solo per il fatto che il più recente di questi documenti risale al Settecento. Anzi, ci aspettiamo tutti di ritrovare tesori inestimabili, e speriamo tutti di essere i primi a farlo, per guadagnarci la gloria che fu già del cardinale Angelo Maj, quando scovò la Repubblica. Pertanto, chiusi nei nostri cubicoli, esaminiamo, con minuzia da miniaturisti, queste pagine abbrunite dal tempo.
E queste, che ho ora sotto la lente, sono straordinarie e nuove, mai nessuno ha sentito parlare di quanto è scritto, nessuno poteva sospettare l’esistenza di qualcosa del genere.
Se, come credo, ne esiste una copia sola, allora io ne sono lo scopritore, l’ostetrico, colui che la toglierà dall’oblio e contribuirà a gettare nuova luce sui secoli più bui per l’Europa. E velocemente la trascrivo.

«Chi è?», qualcuno ha bussato allo stipite della mia stanzetta. Entrano in due, sono vestiti in borghese ma si capisce subito che hanno preso i voti. Due gesuiti.
Non so come sia possibile, poiché non ho parlato con nessuno del mio lavoro, ma sono a conoscenza del manoscritto e lo vogliono portare via. Io protesto, pare abbiano un salvacondotto papale che li autorizza al prelievo. Accampo qualche scusa, parlo della proprietà intellettuale della scoperta e della necessità di far circolare il sapere.
Se ci tengo alla proprietà intellettuale, mi dice il primo, sarà provveduto, ma vogliono il manoscritto e la traduzione; e che non pensi nemmeno alla circolazione del sapere.
Il secondo aggiunge che torneranno domattina.

Non ho possibilità di replica.

Terza prefazione

Dovrei smetterla di aggiungere prefazioni senza cancellare le precedenti, ed in verità ero tentato di farlo. Mi è sembrato, però, un modo di procedere miope, perché, pur a distanza di anni, impegnandomi ora in una spero breve revisione del testo, e di alcuni capitoli di Rex et sacerdos in particolare, e pur avendo superate le principali delle cause che mi indussero, tempo fa, a scrivere quest’opera, non credo giusto rinnegarle o cercare di renderle più sfumate, in accordo alla diversa sensibilià che ho sviluppato a proposito dei temi trattati. Non cambierò, dunque, l’intento didascalico, né mi avventurerò nel rivedere i concetti espressi o la struttura narrativa.
Una revisione dello stile, però, si era resa da tempo necessaria, anche per armonizzare il primo libro ai successivi, o rendere più elegante la cornice dello studioso, che in verità non mi ha mai soddisfatto.
L’occasione è l’intento, che ora prendo, di pubblicare per così dire “a puntate” tutto il romanzo in Internet, perché ho preso la risoluzione di non lasciar marcire nel cassetto questo mio prodotto adolescenziale.

Scanzorosciate, febbraio 2007

Seconda prefazione

Essendo ormai giunto all’ultimo capitolo di Alétheia – III G, ed avendo la mia opera di gran lunga superato le originali intenzioni senza, spero, averne cancellato il significato, ritengo opportuno aggiungere all’opera una seconda prefazione, che possa meglio rendere conto della nuova funzione dell’opera.
Le intenzioni che guidarono la mia mano hanno, ormai, ampiamente travalicato quelle che sono indicate nella precedente prefazione. E se l’Alighieri poté scrivere «quello che mai fue detto d’alcuna», modestamente penso che, pur senza l’elevatezza della sua poesia, io abbia scritto di più relativamente ad Illa, dandole più della natura beata e rendendola più vera dell’allegoria dantesca.
Per evitare che il lettore incorra in caotica confusione, è meglio che descriva in poche parole la struttura dell’opera che, simulando un gioco come di scatole cinesi, si costruisce in un continuo intersecarsi di fittizzi manoscritti, voci narranti e autori simulati.
Il libro si intende scoperto da uno studioso che lavora negli archivi della Segreteria di Stato. L’opera che scopre in un incunabolo medioevale si vuole scritta da papa Giovanni V, che regnò per due anni, dal 684 al 686. Scrisse i tre libri che sono disposti tra il suo Prooemium e la sua Clausola, Ragnarok, Rex et sacerdos e Alétheia. Nello stesso incunabolo si trova anche Hypostaseis, firmato Giovanni V ma chiaramente apocrifo, perché scritto sopra un manoscritto di datazione successiva e con stile e contenuti alquanto dissimili rispetto alle opere precedenti. Il prologo e l’epilogo, che aprono e chiudono l’opera, si intendono scritti dallo studioso.
Scanzorosciate, marzo 2003

Prima prefazione

Dopo aver compiuto, a cavallo tra maggio e giugno di quest’anno, la stesura di Ragnarok–II G, ed essendo ormai ad un punto avanzato di Rex et sacerdos–In otio, mi accingo a dare forma organica ai due lavori ed a predisporre l’opera che conterrà loro ed il terzo romanzo che ho in programma, a conclusione del ciclo di Illa Diva che è qui contenuto, Alétheia–III G.
L’opera, nel suo complesso, vorrà essere allo stesso tempo un romanzo di pura invenzione, che parli delle vicende accadute lungo il VII secolo ad una comunità esule dell’Impero Bizantino, ed in particolare a Quinto Fabio, e una forma trasposta all’interno della suddetta vicenda di diario di quanto successo al suo autore a cavallo degli anni citati nei titoli; i personaggi stessi sono persone che, all’interno del tempo indicato, sarebbero stati presenti, nel bene o nel male, in un ipotetico mio diario.

A livello più alto, l’opera si configura come un cammino dal basso verso l’alto da parte del protagonista alla ricerca della verità (alétheia).

Dedica


Illi divae

Oltre la spera che più larga gira
passa ’l sospiro ch’esce dal mio core;
intelligenza nova, che l’Amore
piangendo mette in lui, pur su lo tira.

Quand’elli è giunto là dove disira,
vede una donna, che riceve onore,
e luce sì, che per lo suo splendore
lo peregrino spirito la mira.

Vedela tal, che quando ’l mi ridice,
io no l’intendo, sì parla sottile
al cor dolente, che lo fa parlare.

So io che parla di quella gentile,
però che spesso ricorda Beatrice,
sì ch’io lo ’ntendo ben, donne mie care.
Dante Alighieri, Vita Nuova, cap. XLI