domenica 15 aprile 2007

Capitolo VIII - Ragnarok

VIII. In Illius Nympheo*
Il ferito si era ripreso bene, e ora godeva quasi di ottima salute. A parte un leggero claudicare alla gamba destra e una cicatrice sul braccio, sembrava non aver subito nessun infortunio.
Aveva continuato a vivere nel Ninfeo, in un appartamento privato ricavato al piano terra. Felix Felis, che aveva conosciuto, forse più di quanto permesso dalla loro Regola, le sacerdotesse di Illa Diva, viveva in pace i suoi giorni.
Vestito con l’unico abito di produzione locale, la leggera veste di lino bianco che usavano sia le sacerdotesse sia Hexàmeron, non aveva più la fiera marzialità che gli infondeva la lorica né la ieraticità conferitagli dall’abito d’ambasciatore.
Le sacerdotesse presero a frequentarlo spesso e iniziarono ad ammirarne il fisico e le gesta.
Pur da sempre chiuse nella loro valle isolata, trovavano particolarmente bello l’aitante militare che era loro ospite.
Tra tutte le sacerdotesse, quella che più frequentemente si intratteneva con Felix era la priora. La donna, che si era assunta il compito di accudire il ferito, ne aveva conosciuto per prima le doti, e l’ammirazione che le aveva suscitato si era, col tempo, trasformata in infatuazione.
Scendeva di nascosto, in tutte le ore del giorno e della notte, nella stanza dell’ambasciatore per osservarlo dormire. L’ansimare, rivelato dal sollevarsi delle lenzuola sopra il corpo in riposo, dell’uomo la rapiva, facendole perdere la cognizione del tempo. Passava le giornate nascosta dietro una tenda, in contemplazione del ricoverato. Il corpo longilineo ma vigoroso e la carnagione bruciata davano una grande impressione di forza; la sacerdotessa li ammirava, tanto erano diversi da quello che avesse mai visto.

L’ambiente del collegio sacerdotale era piccolo e ristretto, e le voci circolavano velocemente. Il gusto del pettegolezzo non graziava le sacerdotesse, confinate nella loro valle dalla più giovane età.
I sorrisini e i commenti delle più giovani consorelle accompagnavano Tullia, la priora del collegio.
La sua infatuazione era nota a tutte, che ne parlavano nei momenti che il culto al tempio lasciava liberi, a dire il vero molti. L’unica persona a sembrare assolutamente ignara di tutto era Felix Felis, che non poteva accorgersi di quanto succedesse mentre dormiva e non pareva notare chi facesse parte della compagnia che aveva quando vegliava.
Con il passare dei giorni, Tullia perdeva interesse nei confronti della sua funzione di guida del collegio sacerdotale e ne prendeva troppo circa l’ospite.
Per quanto potesse essere piacevole abbandonarsi al vento dell’innamoramento, la sacerdotessa avrebbe fatto meglio a mantenersi vigile, soprattutto in funzione della propria profezia, cui, ormai, prestavano fede solo le personalità del Tema di Susiana.

Felix Felis, nel frattempo, non aveva dimenticato la propria missione. Il forzato riposo che gli era stato imposto dalle circostanze lo rendeva nervoso; nella solitudine scagliava oggetti contro le pareti. Avrebbe voluto riuscire ad andarsene, ma in quel luogo mancavano cavalcature e, tra l’altro, non sapeva neanche dove si trovasse. Quando si era reso conto di aver perso la lettera, che era riuscito a nascondere ai predoni prima di perdere i sensi, minacciò addirittura il suicidio. La sacerdotessa che, in quell’occasione, stava nella camera vicina era accorsa ed era riuscita appena in tempo a strappargli di mano il vaso che aveva rotto e con i cui cocci cercava di tagliarsi le vene.
Per farlo desistere dai suoi intenti, le sacerdotesse presero a passare molto più tempo in sua compagnia, spingendosi a violare apertamente la propria regola, conoscendolo. La qual cosa, oltre ad avvenire all’insaputa della priora ed in aperto spregio della regola, sottraeva con la passione terrena la cura celeste.
E, intanto, il culto regolare al tempio di Illa Diva presentava lacune e mancanze. Il fuoco sacro, che doveva essere acceso una volta l’anno, al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, e che era spento pochi giorni prima, gettava poche faville, e più d’una volta si riuscì appena in tempo ad evitare che si spegnesse.
Lo stesso Hexàmeron, che viveva in condizione servile in uno dei campi che rifornivano di grano il santuario, nonostante la vita georgica, si era reso conto che la situazione stava per cambiare. Una sera, quando la tempesta di sabbia si abbatteva anche sulla valle del tempio di Illa Diva, mentre in tutta la plaga regnava il silenzio completo, e solo una luce brillava nell’Illius Ninfeo – tra tutte, quella della stanza di Felix –, aveva distintamente udito il fragore di una battaglia.
-Pessimo presagio-, aveva pensato.

Tullia, la priora del collegio sacerdotale, si era andata convincendo che Felix, se non la ricambiava, almeno la considerava importante e non l’avrebbe certo preferita ad un’altra sacerdotessa.
La smentita arrivò cruda e dolorosa, durante una delle contemplazioni della sacerdotessa.
La sventurata scappò in lacrime.
Giunta di corsa al limitare del parco che circondava il Ninfeo, prese un sentiero che, risalendo uno dei monti che delimitava la valle, portava ad un posto d’osservazione sull’arido altopiano.
Era il crepuscolo.
La vista che Tullia aveva spaziava verso est, da cui sarebbe dovuta giungere l’oscurità. Nello stato di confusione in cui si trovava, le sembrò che la pianura rifulgesse di luce.
Quando si schiarì la vista, s’avvide che le luci non erano altro che falò accesi nella notte, in numero modesto. Intorno ai falò erano piantate delle tende di pelli, fuori delle quali stavano seduti, rumoreggiando, degli armati.
I Massageti erano arrivati.
* All’Illius Ninfeo

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