lunedì 26 febbraio 2007

Seconda prefazione

Essendo ormai giunto all’ultimo capitolo di Alétheia – III G, ed avendo la mia opera di gran lunga superato le originali intenzioni senza, spero, averne cancellato il significato, ritengo opportuno aggiungere all’opera una seconda prefazione, che possa meglio rendere conto della nuova funzione dell’opera.
Le intenzioni che guidarono la mia mano hanno, ormai, ampiamente travalicato quelle che sono indicate nella precedente prefazione. E se l’Alighieri poté scrivere «quello che mai fue detto d’alcuna», modestamente penso che, pur senza l’elevatezza della sua poesia, io abbia scritto di più relativamente ad Illa, dandole più della natura beata e rendendola più vera dell’allegoria dantesca.
Per evitare che il lettore incorra in caotica confusione, è meglio che descriva in poche parole la struttura dell’opera che, simulando un gioco come di scatole cinesi, si costruisce in un continuo intersecarsi di fittizzi manoscritti, voci narranti e autori simulati.
Il libro si intende scoperto da uno studioso che lavora negli archivi della Segreteria di Stato. L’opera che scopre in un incunabolo medioevale si vuole scritta da papa Giovanni V, che regnò per due anni, dal 684 al 686. Scrisse i tre libri che sono disposti tra il suo Prooemium e la sua Clausola, Ragnarok, Rex et sacerdos e Alétheia. Nello stesso incunabolo si trova anche Hypostaseis, firmato Giovanni V ma chiaramente apocrifo, perché scritto sopra un manoscritto di datazione successiva e con stile e contenuti alquanto dissimili rispetto alle opere precedenti. Il prologo e l’epilogo, che aprono e chiudono l’opera, si intendono scritti dallo studioso.
Scanzorosciate, marzo 2003

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