mercoledì 7 marzo 2007

Capitolo I - Ragnarok

I. Byzantii*

Le tribune rigurgitavano la folla plaudente, le strade dell’intorno erano invase da chi non aveva trovato posto nell’ippodromo. Le fazioni verde e azzurra, disperate, stavano già abbandonando i posti, mentre altri salivano le strette scale per prendere il loro posto. I fantini, dopo pochi giri percorsi a velocità folle, erano stati sbalzati fuori dalle quadrighe dallo smalto luccicante, facendo naufragare le speranze e le scommesse del popolino urbano.
I due cocchi ancora in gara, rosso e bianco, si fronteggiavano sul lungo rettilineo. Il conducente la quadriga bianca, con uno scarto improvviso, si porta all’interno della curva, tagliando la strada all’avversario, che arrancando si porta all’inseguimento. Il conto dei giri rimasti si accorcia, e il cocchio bianco è saldamente in testa. L’ultima curva un cavallo incespica, ma il fantino è bravo e rialza il mezzo. Con mezzo giro di vantaggio, la fazione bianca vince la corsa.
La folla in tripudio, poca rispetto alle decine di migliaia di spettatori, è l’unica a non rivolgere lo sguardo alla tribuna imperiale. L’imperatore si è alzato in piedi, e guarda con dispetto il giovane fantino vincitore. Da anni, la Casa Imperiale tifa rosso, e giammai nessuno aveva osato sconfiggerli. I sostenitori dei bianchi invadono il campo e circondano il vincitore, lo acclamano e lo portano in trionfo.
Tutta la città sembra diventata bianca; gente e tifosi espongono alle finestre lenzuoli e tovaglie di lino e di seta bianchi. La festa andrà avanti fino a notte fonda ma, intanto, la quadriga eburnea dell’imperatore, furioso, corre per le strade e i vicoletti di Bisanzio in direzione del Sacro Palazzo. Il foro di Teodosio, nella sua maestosa antichità, accoglie la folla dei festanti. Chi non si scosta al passaggio del basileus viene travolto.
Il Sacro Palazzo, con le sue mille cupole di marmo, le sue colonne striate d’oro, i suoi stendardi di porpora di Lidia, accoglie l’imperatore dei Romani Valente II. L’ira ne rende più fiero l’aspetto. La carnagione ramata e tesa, soprattutto intorno alle labbra larghe e strette, gli occhi di ghiaccio e i capelli biondi portati alla Unna, ossia rasati in parte e lasciati lunghi dietro la nuca. I più tradizionalisti, scandalizzati da questo affronto alle tradizioni romane, lo disprezzavano. Nel Sacro Palazzo non aveva sostenitori. La principessa che aveva sposato era fuggita con un fantino, giovane, della fazione bianca e vincitore. Da quel giorno neanche le corse all’ippodromo, che aveva affrontato da più giovane e che aveva continuato ad amare, lo rallegravano; anzi, quell’obbligo imperiale gli era venuto odioso.
La sua corte gli era lontana, non aveva fedeli né tra i generali né tra i dignitari.
Chi gli aveva voluto stare vicino, era stato allontanato perché in odore di complotto.
Sembrava che il Patriarca di Costantinopoli stesse tramando insieme al Papa di Roma contro l’Imperatore, e fu esiliato in Isauria, da dove sparì.
Valente II, arrivato nella sua sala del trono, fu subito avvicinato dal Capo di Gabinetto della sua amministrazione, Lilia Domna. La donna aveva avuto un ruolo importante nell’esautorazione del precedente imperatore, Quario Cesare, e nell’incoronazione del nuovo. Per questi meriti, si era guadagnata un importante ruolo di fiducia nella corte di Bisanzio, e amministrava, neanche troppo di nascosto, da sola l’intero dominio dei Romani.
Dopo aver accompagnato l’imperatore al trono ed essersi prostrata per baciargli il piede sinistro, iniziò ad aggiornarlo circa la situazione dei territori in Asia Minore.
«Il dominio dei Califfi arabi si è esteso anche in Siria e in Palestina, dove abbiamo perso eserciti e territori; l’Egitto è allo stremo. Rimane completamente isolato dal nostro territorio il già turbolento Tema di Susiana, basileus.»
«Mia cara Lilia, è forse possibile che Susiana resti indipendente? Non abbiamo notizie di Adriano da anni. È molto più probabile che sia già stato ucciso, il suo esercito disperso, la sua capitale data alle fiamme. In questo caso, pace all’anima sua…e un po’ meno a quella del suo Stratego, quel tal…»
«Quinto Fabio. No, credo abbiate ragione Voi.»
Valente si distese sul trono, sul punto di abbandonarsi al riposo, ma in quella gli fu annunciato l’arrivo di un messo dalla Susiana, che si gettò, lacero e sporco, ai suoi piedi.
«Vengo da Susa, basileus. Sono stato inviato per portare notizie dall’ultimo Tema d’Asia. Gli Arabi non sono arrivati ai confini, non c’è guerra in arrivo, ma il governatore, Adriano, si è nominato re: Adriano Re di Susiana; Quinto Fabio è stato nominato comandante dell’esercito, e già da mesi stanno svolgendo autonoma politica estera. Sono già scesi a patti con quanto rimane dell’Impero Persiano, per garantirsi mutua assistenza. Ma Ctesifonte è caduta e profughi sono già arrivati a Susa, dove Adriano ha posto la sua capitale.»
«I Sasanidi hanno distrutto i Parti. Gli Arabi già si sono sostituiti ai Sasanidi. Possiamo permettere che nostri sudditi vengano a formare un altro dei nostri nemici mortali? Ho ancora fiducia in Adriano. Come ti chiami, ragazzo?»
«Felix Felis, basileus»
«Felix, tornerai in Susiana e consegnerai nelle mani di Adriano questi ordini.» E, così dicendo, sigillò una lettera che Lilia Domna gli porgeva e la consegnò al messo.
«Sì, mio signore», disse Felix Felis uscendo.
Lilia Domna si avvicinò alle spalle di Valente, appoggiandovi sopra le mani.
«Mio signore, è mia convinzione il fatto che sia giusto cedere la Susiana»
Valente II, imperatore e basileus, si alzò dal trono, situtato tra due colonne di marmo rosso striato d’oro, raccolse la voce e disse: «Lilia! Hoc est. Ho ancora molto da fare in Susiana. E il santuario pagano di Illa Diva non può essere perso.»
«Basileus, mio signore, abbiamo nei nostri domini templi pagani? Perché non avete provveduto a distruggerli?», sbottò la donna. «Non avete forse distrutto ogni residuo di superstizione in Anatolia, in Siria e perfino in Egitto? Il santuario di Ammone non è stato raso al suolo? Ditemi di Illa Diva.»
Scocciato, l’imperatore rispose: «Non so niente. Neanche la sua posizione. L’unica cosa che so è che dovrebbe essere in Susiana. Ma, dei miei inviati, nessuno l’ha mai trovato.»
Detto questo, Valente II uscì dalla sala del trono per ritirarsi nei suoi appartamenti privati.
Nelle strade di Bisanzio, nel frattempo, si era scatenata la festa della fazione bianca. Il fantino, osannato dalle folle, aveva preferito però ritirarsi. Iohannes Pagno, dopo aver ricevuto la corona della vittoria e svariate richieste di matrimonio, si era coperto con un mantello e, non visto, aveva costeggiato rasente il muro la chiesa di Santa Sofia, fino a raggiungerne un’entrata posteriore. Di là era sceso nei sotterranei della città, portandosi fuori delle mura.
All’uscita del passaggio era stato portato un cavallo. Iohannes, in sella, si portò fino al limitare di una macchia che effondeva l’odore forte del rosmarino. Sceso, entrò a piedi tra i cespugli spinosi, chinando il capo per non impigliare i capelli nei bassi rami degli olivi. Al centro della macchia c’era una piccola radura. Quando vi fu entrato, si gettò ai piedi dell’uomo che lo attendeva
«Patriarca Ecumenico, quale gioia rivedervi! Perché mi avete fatto chiamare? Non sapete che è per voi pericoloso stare nell’Impero?»
«Iohannes, sono venuto a prenderti.» L’uomo, coperto da una cappa scura, rivelava solo la sottile linea delle labbra, mentre il volto gli era coperto da un cappuccio.«Partiamo per la Susiana. È importante.»
*A Bisanzio

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