giovedì 8 marzo 2007

Capitolo II - Ragnarok

II. Susae, in praefecti palatio*
Gli ambasciatori sasanidi erano appena usciti, ringraziando con inchini per la concessione del diritto d’asilo ai profughi dell’ex impero persiano. Gli Arabi, in tre anni, ne avevano causato il crollo.
Nel suo abito di seta, tanto fine da far invidia alla sartoria imperiale, Adriano Re, soddisfatto, beveva con il vino importato dalla Palestina.
Entrò, scintillante di ferro, lo Stratego di Susiana, comandante dell’esercito provinciale.
«Domine, faresti meglio a moderarti col vino straniero. Mi è stato comunicato che le vie commerciali con Gerusalemme sono interrotte. Abbiamo abbondante vino anche di produzione locale.»
«Mio caro Quinto, ho appena ricevuto gli ambasciatori di Yezdegerd. Abbiamo la collaborazione persiana su tutto il confine settentrionale. Vai e occupati di schierarli. Spero che quell’increscioso problema sia stato risolto…»
«In realtà, domine, c’è stata una modesta percentuale di danni collaterali, quando abbiamo attaccato quella carovana.»
«Non importa. Li avete presi tutti?»
Lo Stratego prese l’elmo che aveva in capo e se lo sfilò, portandoselo al fianco.
«No, Signore. Ci è sfuggito uno dei soldati.»
«L’ambasciatore è morto?»
«Sì, e la colpa è ricaduta sui predoni arabi. Credo che la situazione sia abbastanza rosea. Anche se Valente inviasse un esercito, non arriverebbe mai nei nostri territori. Ora vado a controllare le forze ex persiane della nostra armata. Vale.»


Quinto Fabio uscì, diritto e guardando avanti, dalla sala principale del palazzo del governatore. In confronto al Sacro Palazzo di Bisanzio, sembrava una catapecchia. Costruito in arenaria gialla, era più simile ad un forte che ad una reggia. Per ovviare a questo problema d’immagine, poco distante si stava costruendo un palazzo che fosse simile alla residenza dello Shah di Persia. Lo Stratego percorse la strada principale di Susa, in realtà poco più di una pista polverosa, che solo in parte si stava pavimentando. Tutta la città, un tempo la più fiorente dell’Impero Persiano, era regredita allo stato di caravanserraglio e ovunque fervevano i lavori per renderla degna capitale del Tema che si era reso indipendente.
La sede dello Stratego era un vero e proprio campo fortificato. Entrando, gli venne incontro un ufficiale dall’esotica divisa in cuoio borchiato.
«Parvo Cornua, comandante dei Caldei federati. Signore!»
«L’armamento regolare del nostro esercito non comprende né cuoio né borchie di bronzo. In battaglia se ne ricordi.»
«Signore, gli ufficiali persiani la stanno aspettando nella sala riunioni. Noi abbiamo problemi a sistemare gli elefanti da guerra.»
«Cornua, fa’ preparare qualche recinto. Non voglio essere disturbato.»

Concordate le modalità d’impiego dei Persiani, Quinto Fabio decise di controllare il confine occidentale del Tema. Alle tribù caldee era affidata la zona pianeggiante a sud, dove i loro temibili carri da guerra dispiegavano la loro potenza. Le forze regolari controllavano la parte più accidentata, dove più spesso si scatenavano tempeste di sabbia. A nord i Persiani già approntavano linee difensive fortificate.
*A Susa, nel palazzo del governatore

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