lunedì 26 marzo 2007

Capitolo V - Ragnarok

V. Susae, Thematis Susianae capute*
Era quasi l’ora di pranzo quando le truppe dei Servizi di Sicurezza giunsero alle porte della città. Gli abitanti, scortili da lontano e credendoli predoni arabi giunti fino alle porte della città, si rifugiarono in casa sperando nell’arrivo di un esercito amico.
Contro le aspettative degli abitanti, ma secondo gli ordini ricevuti, il centinaio di soldati si accampò, mentre all’interno delle mura entrò solamente Ραευώθζ, che si diresse verso il Comando Supremo, per fare rapporto allo Stratego, Quinto Fabio.
Entrato, fu fatto accomodare, e gli fu offerto da bere finché fosse entrato Quinto Fabio. Questi arrivò, felice di rivedere il compagno d’armi che da diversi mesi era in missione.
«Sono molto lieto di rivederti, ma è questo il modo di presentarsi senza preavviso alle porte? La popolazione è terrorizzata dai tuoi soldati, e non posso fare a meno di capirli. Che fretta ti ha condotto qui?», esordì lo Stratego.
«Imperator, sono venuto all’improvviso per via di un vaticinio funesto.
Avevamo intercettato una missione diplomatica bizantina, diretta a Susa. Purtroppo, è stata intercettata poco prima da veri predoni arabi, che ne hanno massacrato la legazione portando via oggetti preziosi e, probabilmente, anche il sigillo imperiale. Abbiamo portato l’unico superstite al posto più vicino, il santuario di Illa Diva. Lo conosci?»
«Siamo in pochi a conoscerlo. È vero quanto si dice, che è abitato da feroci amazzoni?»
«Sembrerebbe di no. C’è un collegio sacerdotale femminile molto rigido riguardo alla presenza di uomini, ma hanno accolto il ferito. Il problema è che, quando la superiora mi ha parlato, mi ha annunciato che sta per avvenire una grande sciagura sul tempio di Illa Diva, e probabilmente anche sul nostro Tema. Per questo mi ha esortato a recarmi qui velocemente per annunciarlo. Ci sono problemi sui confini?»
«Non appare nulla di tutto ciò, almeno per ora. Ma i miei informatori all’estero parlano di movimento presso i Turchi, nelle steppe a nord-est dell’Hyrcania.»
«Imperator, chiedo dunque che mi sia affidata una missione in quella regione»
«Bene, Ραευώθζ, Scriverò al generale Cosroe, che controlla il nostro confine settentrionale, comunicandogli della vostra presenza. C’è altro?»
«Sì, il Bizantino sopravissuto aveva con sé una lettera. Eccola», disse, porgendo a Quinto Fabio un rotolo di pergamena con impresso il sigillo imperiale di Bisanzio. Poi uscì, allontanandosi con i suoi soldati dalla città.

Rimasto solo, Quinto Fabio prese ad esaminare la lettera. Era indirizzata ad Adriano Re, che si sarebbe accorto se lui l’avesse aperta, rompendone il sigillo.
Era un problema. Se fossero riusciti a salvare dai predoni il sigillo imperiale, avrebbe fabbricato una copia della lettera simile in tutto e per tutto all’originale. Ma se si preparavano insidie all’indipendenza del Tema, leggendo subito la missiva sarebbe potuto intervenire tempestivamente. Non potendo rischiare di perdere la fiducia del suo dominus, lo Stratego si portò quindi, attraverso l’unica strada decente di Susa (nel frattempo era stata pavimentata) al palazzo del governatore, sempre più piccolo in confronto all’incombente mole del palazzo in costruzione.

Adriano Re stava prendendo il pranzo in terrazza, quando gli fu introdotto Quinto Fabio recante la lettera.
Apertala in presenza del dominus, Quinto Fabio iniziò a leggerla.
«Noi Valente II Imperatore e Basileus dei Romani, rammaricato per gli sgarbi diplomatici subiti («gli abbiamo sterminato la legazione…»), chiediamo ad Adriano governatore di Susiana che riconosca la Nostra suditanza, com’è stato da quando il suo avo Claudio Brembano ha strappato ai Persiani il territorio della Susiana facendone Nostro Tema.
Chiediamo dunque che il qui presente ambasciatore, Nostro plenipotenziario, venga accolto con il rispetto necessario al suo rango. Richiediamo ergo che siate ridotti
nostrā in potestate come è sempre stato.
Valente II
Basileus»
«Dalla lettera non si ricava nessuna informazione circa un possibile attacco ai nostri territori», osservò il Re.
«È vero, dominus, ma noi conosciamo bene la situazione politica a Bisanzio. Se l’imperatore ha scritto questo, e io sono portato a ritenere che sia scritto di suo pugno, giacché posso far notare un errore di ortografia, e Valente era un modesto atleta, prima di essere acclamato imperatore dal popolo, allora significa che quasi tutta la corte pensa il contrario, e cioè che la via diplomatica con noi è sprecata.»
«Capisco. Ma non tutte le notizie sono cattive, Quinto. È arrivato oggi, dopo un lungo viaggio che l’ha portato in Armenia, il mio Consigliere Capo, che ha, come mi ha detto, qualcosa da riferirti. Ti attende alla sua casa.»
Con queste parole, Adriano Re interruppe la conversazione.
Quinto Fabio, allora, curioso per l’ultima frase pronunciata dal re, andò direttamente alla casa del Consigliere Capo, Panatto Retore, che si trovava in una via laterale della strada principale.
La casa di Panatto Retore era una modesta costruzione di arenaria, come il palazzo del governatore, ad un piano solo. Dopo l’atrio si entrava in un piccolo porticato, sotto il quale stava seduto, leggendo un libro in sanscrito, il dignitario.
Come al solito cordialissimo, Panatto Retore esordì lodando il testo che stava leggendo.
«Induismo…grande religione, nonostante sia falsa. Questi testi indicano una concezione del mondo molto singolare, ma suggestiva. Ma noi cristiani…», e sarebbe andato avanti con la sua omelia se Quinto Fabio non l’avesse interrotto.
«Mi avete fatto chiamare, nevvero?»
«Sì, mio caro Fabio. Ma prima di dirti quello per cui ti ho convocato, giurerai di non rivelarlo a nessuno se non espressamente costretto, neanche al Re.»
«Quello che mi chiedete è molto singolare, e potrebbe far dubitare della mia fedeltà nei confronti di Adriano, nonché della vostra. Ma l’ultima volta che vi ho ascoltato, mi è stato molto utile. Giuro.»
Panatto Retore, visibilmente soddisfatto, si accomodò meglio sul triclinio per parlare stando più a proprio agio.
«Orbene, non sono andato in Armenia. Ricordi quando sono arrivato a Susa, diversi anni fa? Erano più o meno i giorni in cui Valente II riscuoteva più ostilità da parte dei suoi dignitari; la sua corte era scandalizzata per la moda alla Unna che stava diffondendo; il Patriarca cercava di trovare un accordo con il Papa in risposta all’eresia monofisita che si diffondeva in Oriente e nella stessa corte imperiale, e fu esiliato. Come ho scoperto sul tomo che stavo esaminando quando è entrato, esiste, forse in Susina, forse in qualche altro luogo di qua del Tigri, una località particolare dalle antichissime origini, che nasconderebbe qualche particolare rivelazione sulla natura divina. Ho cercato, durante i miei frequenti viaggi, questo luogo, ma non l’ho mai trovato. Penso sia nascosto molto bene, ma ritengo anche sia impossibile che possa essere sfuggito ai tuoi Servizi di Sicurezza. Quindi, in modo celato o meno, dovremmo collaborare per trovarlo.»
«Non comprendo una cosa. Perché dovrebbe essere vostro e mio interesse trovarlo? Non è affar nostro la ricerca della natura divina, mio perlomeno. Ma voi?»
«È mio interesse, in quanto sono da anni impegnato in un’accesa disputa coi monofisiti bizantini. Se questo testo», disse, indicando il grosso volume scritto in sanscrito, «è autentico, possiamo affermare che la Rivelazione monoteistica giudeo-cristiana non è parto delle popolazioni semitiche, come gli Ebrei, ma viene portata dalle popolazioni indoeuropee di stirpe ariana, tra i quali ci sono i Persiani che hanno regnato per secoli sui nostri territori. Ricordo, anche, che la fede degli Ebrei si è confermata nel pieno monoteismo dopo l’esilio di Babilonia, dal quale furono liberati, appunto dal primo gran re dei Persiani, Ciro il Grande; non è da escludere che ne abbiano assorbito alcune credenze. E noi, volenti o nolenti, sia che siamo genti romane o, come più probabile, persiane, traiamo origine dalla stessa grande cultura. Io intendo dimostrare che esiste un santuario risalente al periodo seleucide, o anche anteriore, che possegga elementi riconducibili alla fede o al culto cristiani. Credo sia presente una casta di tipo sacerdotale esclusivamente femminile, come evinco dai riferimenti di matrice monoteista nel culto vestale, analogo al quale dovrebbe essere il culto del santuario di cui sono in cerca».
Alle parole “esclusivamente femminile”, gli occhi di Quinto Fabio brillarono.
«Forse potrei darvi qualche informazione. Ma il problema persiste: a me, che ne viene?».
«È attestata, a partire dai primissimi tempi del santuario, la presenza di un immenso tesoro in oggetti votivi.
* A Susa, capitale del Tema di Susiana

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