lunedì 8 ottobre 2007

Capitolo XI - Ragnarok

XI. In Illius Divae valle*
La partenza dei Servizi di Sicurezza avvenne di notte. Nessun rumore proveniva dalla gola che iniziarono a percorrere. La rigogliosa vegetazione che ne copriva le ripide pareti, con l’oscurità, prendeva forme grottesche e mostruose. Ogni cespuglio ed ogni albero potevano nascondere insidie da parte dei barbari; i soldati n’erano consci. Gli unici a non essere preoccupati per i nemici erano Panatto Retore e il suo servo; la prima missione di guerra cui prendevano parte sembrava loro noiosa, almeno fino a quel momento. L’unica causa dell’agitazione che li prendeva era l’attesa prima di raggiungere i luoghi consacrati al culto di Illa Diva, il tempio e il ninfeo sede del collegio sacerdotale.
Quinto Fabio teneva la mano sull’elsa della spada.
La colonna stava ancora percorrendo la gola quando, da una posizione sovrastante, s’udì il rumore di qualcosa che stava rovinando loro addosso. ΡαεFώθζ urlò di togliersi dal sentiero, ma Αρσωΐν gli corse accanto facendogli notare che non esisteva nulla fuori del sentiero. Un oggetto di medie dimensioni piombò sulla strada. Αρσωΐν gli puntò contro la scimitarra, ma il corpo si rivelò essere quello di Hexàmeron.
Spaventatissimo e lacero, si gettò ai suoi piedi implorando aiuto.
Quando si fu calmato un poco, gli venne chiesto cosa fosse successo nella valle dopo l’arrivo dei Massageti.
Iniziò a raccontare singhiozzando.
«Una sera, la gran sacerdotessa si era portata all’esterno della valle, donde si vede la pianura circostante. I barbari accampati lì vicino l’hanno scorta e catturata. Hanno preso l’Illius Ninfeo, facendo prigioniere tutte le sacerdotesse, ed anche il ferito. Noi servi abbiamo subito molte ingiustizie, ci sono stati sottratti i nostri raccolti e sono state rapite le nostre donne. Quando da Abbà ho sentito che si stavano avvicinando i soldati che già erano stati qui, sono subito corso loro – cioè voi – incontro ma, per la troppa foga, sono caduto…Aiutateci, venite al nostro villaggio!»
Il nome che Hexàmeron aveva pronunciato era sconosciuto ai soldati, mentre a Panatto Retore sembrava già noto.
In risposta all’accorato appello, e anche per soddisfare la curiosità del dignitario, gli uomini seguirono il giovane lungo uno stretto sentiero, il cui imbocco era stato occultato, che portava ad un piccolo altopiano sospeso sulla conca in cui si trovava il tempio di Illa Diva.
Circondato da magre ortaglie, una corte di casupole era stretta attorno ad un fuoco stentato. Quinto Fabio e Panatto Retore furono introdotti nella capanna più grande, dove si trovava Abbà.
Gli occhi seri e pensosi di quest’uomo e la sua corta barba di tipo persiano si stagliavano su un volto che mostrava un’indefinibile mezza età. Portava brache di pelle, strette sotto il ginocchio, e si era gettato con noncuranza una casacca da pastore sulle spalle. In mano stringeva un frustino da cavallo, accessorio insolito per un pastore, tanto più che, avvicinandosi al villaggio, i soldati non avevano visto animali atti ad essere montati.
Si notava che il personaggio non aveva mai vissuto tra quei poveri coloni, ma era arrivato nel villaggio da poco, e pareva fosse informato di quanto succedeva – almeno, era informato del loro arrivo. Quinto Fabio, anche per evitare che gli sfuggissero informazioni, prese ad interrogarlo.
«Siete un Massageta?»
Quello rispose parlando con un fluente dialetto persiano
«No, signore. Sono uno straniero giunto qui per caso.»
«Come facevate a sapere che saremmo arrivati?»
«Avete troppo a cuore il santuario di Illa Diva per lasciarlo nelle mani di questi barbari, senza cultura né storia.»
«Siete dunque venuto per il santuario? Strano significato attribuite alle parole “per caso”. Che mi dite?»
«Usciamo, per favore.»
Il vecchio portò Quinto Fabio e Panatto Retore fino al bordo dell’altopiano, mostrando loro la valle con, al centro, il tempio di Illa Diva. Solo un tenue chiarore usciva dalla porta dell’edificio sacro. Il fuoco si stava spegnendo.
«È scritto che quando il fuoco della Diva si spegnerà, allora non ci saranno più speranze per i figli di Iafet, o se preferite gli indoeuropei, in Persia. Sento che ci stiamo avvicinando alla fine.»
Il canto dell’upupa risuonò lugubre.
«Dovremmo tentare il tutto per tutto; introdurci nel tempio per cercare di salvare i resti di millenni di culto.»
Dall’alto, l’Illius Ninfeo suonava dei canti sgraziati dei Massageti.
Quinto Fabio andò da ΡαεFώθζ, dandogli ordine di scendere a valle entro l’alba del giorno dopo.
La colonna si mise, lentamente, in marcia. Il terreno franava sotto gli zoccoli cavi dei cammelli, il rumore delle armi veniva attutito con stoffe, per evitare di essere scoperti dai nemici.
Guidati da Hexàmeron e accompagnati da Abbà, i soldati raggiunsero il bosco che circondava l’Illius Ninfeo un’ora prima dell’alba.
Si era deciso, dopo una lunga discussione tra gli ufficiali ed Abbà, durata per tutto il cammino notturno, che i soldati avrebbero attaccato prima il Ninfeo cercando di sopraffare i Massageti; in seguito, Panatto Retore, Quinto Fabio ed Abbà sarebbero entrati nel santuario per cercare la risposta agli interrogativi del dignitario e le ricchezze accumulatesi nei secoli.

All’esterno della valle, un uomo a cavallo si precipitò nella tenda di Adriano Re, che aveva assunto il comando dopo la partenza dello Stratego. Era stato avvistato, proveniente da sud–est, l’esercito degli arabi. Era formato dagli uomini di quattro tribù, montati su cammelli e armati con arco e scimitarra. Un esercito di armati, grande dieci volte i Servizi di Sicurezza di Susiana. Al suo comando c’era El Q̉ hrą, che già aveva guidato la missione diplomatica araba a Bisanzio.
Adriano Re, svegliatosi e benedicendo ΡαεFώθζ per il suo presentimento, si preparava a far schierare l’esercito per respingere gli Arabi, che avevano evitato la capitale Susa per dirigersi direttamente alla sorgente del Choaspe, dove avevano saputo essersi fermato l’esercito del Tema.

Pochi minuti dopo, un altro esploratore arrivò, terreo in volto.
Al contrario del primo, che aveva stimato non molto preoccupante l’armata araba, questo si era trovato davanti un esercito numerosissimo. Non tanto quanto quello susino, ma capace di impegnarlo acerrimamente. Inoltre, il monogramma cristiano caricato sugli scudi e i gonfaloni aveva avuto il potere di terrorizzare il soldato, consapevole che il Tema per cui combatteva era nemico del più grande impero della terra.

L’esercito dell’Impero Bizantino, guidato dall’imperatore in persona, accompagnato come sempre da Lilia Domna, si era portato, per un apparente caso, dietro al massiccio montuoso che proteggeva il santuario. Di là, subito era stato scorto il campo susiano, e l’esercito si stava schierando in ordine di battaglia per il mattino dopo.
* Nella valle di Illa Diva

Nessun commento: